Nei precedenti articoli centrati sui temi dell’inclusione e dei BES si è cercato di mettere a fuoco molte delle potenzialità dell’applicazione delle nuove normative scolastiche (Direttiva del 27 dicembre 2012 e C.M. n. 8 del 6 marzo 2013), giustificando spesso l’importanza dei cambiamenti che stanno avvenendo.
Tuttavia, può essere lecito chiedersi: quali possono essere i potenziali rischi dell’applicazione della normativa sui BES a scuola?
Tralasciando i percoli professionali paventati da molte categorie sindacali, la domanda sembra essere lecita se posta in riferimento agli studenti ed alle studentesse, che dovrebbero essere i primi ad essere tutelati.
Va detto subito che, parlando di rischi per gli studenti e le studentesse, non si dovrebbero avere problemi per tutti coloro che si trovano in una situazione di disabilità conclamata. Anzi, per loro si dovrebbero riscontrare forti miglioramenti dati dalla presa in carico fattiva di ciascun insegnante (non solo degli insegnanti di sostegno). I rischi maggiori, invece, potrebbero sorgere per coloro che si trovano in una situazione poco chiara o che non giustifica il sostegno ma comunque richiederebbe un’attenzione diversa rispetto alle problematiche connesse con aspetti sociali (una valutazione specialistica).
Nelle situazioni diverse dalle gravi patologie evidenti, dunque, possono presentarsi dei rischi per gli studenti e le studentesse. In questo scritto se ne individuano tre:
- la riduzione della richiesta di aiuti specialistici, anche quando vi sia la reale necessità;
- l’eccesso di assistenzialismo verso coloro che sono in situazione di difficoltà connessa con scarsa motivazione, causandone un depotenziamento;
- una certa tendenziosità, più o meno cosciente, a far in modo che aumentino o permangano le situazioni di difficoltà.
Tali rischi sono paradossali, nel senso che appartengono ad una situazione in cui, per cercare di intervenire in modo da perseguire il bene degli studenti e delle studentesse, in realtà si possono ottenere effetti negativi (è il classico risvolto della medaglia). Ovviamente si tratta solo di rischi ipotetici ma che, comunque, non escluderei in assoluto.
Vediamo nello specifico i suddetti rischi.
Rischio 1: la riduzione della richiesta di aiuti specialistici, anche quando vi sia la necessità
Questo primo rischio fa riferimento a quelle situazioni sfumate, in cui si possono verificare dei disagi di tipo sociale (es.situazioni di povertà culturale; situazione di famiglia immigrata; ecc.) e contemporaneamente può essere presente un problema reale ma che non viene identificato chiaramente. Ad esempio, situazioni di disturbo dell’attenzione, disturbi specifici di apprendimento, funzionamento intellettivo limite (o borderline cognitivo), ecc. possono essere talvolta confuse o giustificate erroneamente con scarsa motivazione o povertà culturale, se non valutate correttamente.
Ammesso che tali situazioni vengano correttamente identificate a scuola, il rischio maggiore riguarda il fatto che spesso alcune famiglie hanno un funzionamento organizzativo che le porta ad essere poco reattive quando si tratta prendere in mano una situazione che è connessa con il funzionamento scolastico dei figli o delle figlie. Ad esempio, nel caso dei disturbi dell’apprendimento, si può verificare che le famiglie meno pronte o più in difficoltà socioeconomica possano essere concentrate su altre priorità e, nonostante le segnalazioni fatte dalle scuole, si rivolgano agli specialisti dopo vari anni o, addirittura, mai.
Se ad oggi un qualche aiuto poteva arrivare, anche se tardi, perché non vi erano grandi alternative alle richieste delle scuole (le famiglie potevano accogliere l’indicazione di una valutazione dei figli o delle figlie in una struttura del sistema sanitario nazionale o lasciare tutto immutato), con la recente normativa sui BES si apre un’altra strada: gli insegnanti, collegialmente possono intervenire e modificare il lavoro degli studenti o delle studentesse stilando un piano didattico personalizzato (che ovviamente deve essere accettato e firmato dalle famiglie), anche senza una giustificazione diagnostica.
Per questo motivo, in futuro può non sembrare un’assurdità ritenere che, dinnanzi ad un tergiversare di alcune famiglie, gli insegnanti possano operare scelte volte a proteggere il successo formativo degli studenti e delle studentesse, attivando gli interventi previsti per i BES che non presentano un problema clinico specifico certificato, anche se di fatto il problema esiste ed andrebbero attivati interventi che rientrano comunque nella normativa dei BES ma agiscono ad un livello diverso (appunto alivello di coloro che presentano una situazione specifica che è connessa ad un disturbo).
Questo può peggiorare le cose.
Se le cose funzionano a livello accettabile sul piano dei risultati scolastici o richiedono uno sforzo minimo (come apporre una firma), infatti, per molte famiglie il problema potrebbe non sussistere (è il caso di tutti coloro che si accontentano della sufficienza raggiunta dai loro figli, o che non si presentano mai o quasi mai a scuola e che ritengono le liste di attesa per le valutazioni specialistiche o gli interventi logopedici una perdita di tempo e di denaro).
Questo meccanismo potrebbe essere stimolato anche da alcune paure o rifiuti che molti genitori hanno nei confronti di possibili rischi di etichettamento. Ancora oggi, infatti, permane la paura dello stigma e, per questo motivo, molti genitori preferiscono non conoscere la situazione del funzionamento intellettivo o delle caratteristiche attentive dei loro figli e delle loro figlie, perché temono la diagnosi (in molti casi, come ad esempio nei casi di DSA, si tratta di timori immotivati, poiché il funzionamento intellettivo è nella norma).
Ritardi, dunque, potrebbero prodursi anche nell’individuazione corretta delle situazioni di tutti gli studenti e di tutte le studentesse che vivono una situazione di disabilità intellettiva lieve (in alcuni ambienti sociali poco percepibile) o di disturbo dell’attenzione (diverso è per le situazioni di iperattivà ed impulsività, le quali tendono a generare più allarmismo).
Altra situazione anomala, come detto, potrebbe verificarsi nei casi di immigrazione (che di per sé non escludono altre situazioni di difficoltà). Nelle situazioni di immigrazione, infatti, gli insegnanti possono sottovalutare la situazione ed ascrivere le difficoltà osservate a scuola alle difficoltà linguistiche e di inserimento, senza porsi il problema dell’esistenza di altre situazioni che possano comportare difficoltà nel funzionamento scolastico. Se si ragionasse in automatico, quindi, un ragazzo o una ragazza giunti da altri paesi potrebbero essere inclusi in automatico in un percorso che considera solo le difficoltà linguistiche, senza porsi il problema di comprendere adeguatamente altri tipi di difficoltà.
Il problema generale, quindi, potrebbe essere quello di negare ai ragazzi ed alle ragazze che hanno particolari situazioni l’accesso ad una corretta diagnosi o ad una corretta individuazione della loro situazione. Si verrebbe quindi a creare una situazione paradossale: da un lato si riconoscerebbe a livello scolastico l’importanza dell’individuazione precoce e si lavorerebbe per questo, come ad esempio nel caso dei DSA (si veda la legge 170/2010 ed i successivi documenti), ma dall’altro lato questa individuazione in alcune situazioni verrebbe bloccata.
Se tutto ciò dovesse in qualche modo emergere, il correttivo più sensato che verrà adottato sarà l’uso di batterie testistiche a tappeto nelle scuole, applicate con finalità di prevenzione ed individuazione precoce. Lo scopo, in questo caso, sarebbe quello di tentare di inserire un elemento di controllo dell’errore e favorire l’individuazione corretta delle situazioni a rischio. A riguardo, il tentativo di introdurre valutazioni testistiche è già stato tentato con l’entrata in vigore della legge 170/2010. Tuttavia, in questo caso si conserva l’autonomia dell’insegnante di poter agire facendo ricorso alle osservazioni didattiche (senza necessariamente usare strumenti appositi o ricorrere a servizi clinici a cui la scuola deve far riferimento).
Rischio 2: eccesso di assistenzialismo verso coloro che sono in situazione di difficoltà (causandone un depotenziamento)
Attualmente, uno dei sistemi scolastici maggiormente performante al mondo nei primi cicli dell’istruzione è il sistema cinese, stando alle ultime rilevazioni OCSE PISA. Tale sistema, in cui le classi possono arrivare anche a 50 studenti, si basa sul fatto che tutta la società concorre a stimolare negli studenti una visione positiva della scuola e del successo soclastico, lavorando in maniera sinergica per stimolare la motivazione degli studenti ad apprendere al punto tale che gli insegnanti non devono preoccuparsi di questo aspetto. Molti, tra cui gli Stati Uniti, stanno osservando il sistema scolastico cinese per comprendere come questo possa ottenere risultati eccellenti nelle materie matematiche e scientifiche.
Nel nostro Paese, un problema importante è connesso proprio alla motivazione ad apprendere, poiché molti studenti e studentesse faticano nel trovare le proprie motivazioni, spesso perché scoraggiati dall’attuale situazione occupazionale o perché attratti da interessi diversi dalla scuola o altro. La motivazione ad apprendere diviene uno dei fattori che concorre al rischio di dispersione scolastica, rischio che si vuol prevenire anche attraverso la normativa sui BES.
Soprattutto nelle situazioni più gravi, quelle in cui gli studenti e le studentesse rifiutano il lavoro scolastico, pur in assenza di problematiche certificabili, il rischio che potrebbe verificarsi è quello di intervenire in modo da depotenziare ancor di più tale motivazione. Alla lunga, dunque, lo sforzo di supporto che gli insegnanti potrebbero compiere per stimolare l’apprendimento degli studenti e delle studentesse potrebbe essere superiore allo sforzo fatto dagli studenti e dalle studentesse.
Nelle situazioni più gravi, il rischio potrebbe essere quello di arrivare a concepire come normale l’aiuto altrui, in assenza di un proprio impegno, arrivando ad una situazione di pretesa (di aiuto, di facilitazioni, di promozione, ecc.).
Grande attenzione, dunque, andrà posta alle pratiche di sviluppo e potenziamento della motivazione ad apprendere degli studenti e delle studentesse e, soprattutto, servirà un grande equilibrio degli insegnanti.
Rischio 3: una certa tendenziosità, più o meno cosciente, a far in modo che aumentino o permangano le situazioni di difficoltà nella propria scuola
L’attuale normativa sui BES prevede che le scuole automonitorino le proprie capacità inclusive ed il livello di problematicità che vivono.
I finanziamenti alle scuole, dovrebbero essere in parte dati sulla base delle capacità autodichiarate e del livello di problematicità.
Tuttavia, non sembrano ancora essere state previste forme di verifica per fare in modo che non vengano sovrastimate tali situazioni e per evitare che scuole più allarmistiche (più o meno in buona fede) tendano ad assorbire più di quanto dovuto del budget generale.
Poiché spesso le scuole si trovano in situazione di bisogno quando si parla di aspetti economici, se non si prevedrà una qualche forma di monitoraggio o supervisione esterni, il rischio potrebbe essere quello di avere situazioni incontrollate, in cui vi sia una sorta di “competizione negativa” volta a dimostrare chi è maggiormente in situazione di bisogno degli altri. Potrebbe quindi generarsi una sorta di competizione al ribasso, più di quanto non si generino competizioni virtuose (anche in questo caso, comunque, si potrebbero sovrastimare le problematiche in fase iniziale per poi dimostrare in fase finale l’enorme lavoro fatto).
Per gli studenti, ciò potrebbe significare che le situazioni che vivono potrebbero essere sovrastimate sul versante delle difficoltà e, di conseguenza, potrebbero essere in qualche modo mantenuti in uno stato di difficoltà (si consideri a riguardo la letteratura sull’effetto alone).
Anche in questo caso, quindi, si richiederà un grande equilibrio agli insegnanti ed alle scuole. In parte, forse, l’INVALSI potrebbe contribuire nel monitorare le situazioni a livello generale.
Tutte queste tre situazioni di rischio, come detto sopra, sono ovviamente solo delle ipotesi. Tuttavia, tali ipotesi potrebbero non essere del tutto assurde, soprattutto se si pensa che la formazione sui BES e sulla recente normativa sembra essere stata poco curata e, alle porte del nuovo anno scolastico, molti insegnanti sembrano non essere pronti per ragionare in modo critico sulle richieste della normativa.
Se in futuro si vorrà abbattere tali rischi, quindi, sarà indispensabile potenziare la formazione degli insegnanti in maniera adeguata (sia per coloro che sono in formazione sia per coloro che sono in servizio). Tale formazione dovrebbe essere indipendente da varie fonti che mostrano conflitti di interesse (vale a dire tutti quei casi in cui la formazione viene erogata da professionisti stipendiati in maniera importante da case editrici. Le case editrici, non dovrebbero fareformazione per le scuole) e puntare a stimolare la capacità di implementare una didattica attenta ai bisogni di tutti, usando anche strumenti tecnologici.
Il MIUR dovrà quindi trovare un modo per promuovere:
- un sistema che tuteli gli studenti e le studentesse, abbattendo gli errori o le falle di funzionamento prodotti dalla normativa, anche quando questo non è giustificato da un’azione legale delle famiglie;
- una corretta formazione dei professionisti della scuola;
- un sistema per la distribuzione equa delle risorse alle scuole;
- un adeguato sistema che consenta di monitorare l’effettiva situazione degli studenti inclusi nella categoria dei BES (valutando quindi la reale efficacia degli interventi promossi dalle scuole).
Per quest’ultimo punto, come detto altrove, il sogno è che l’etichetta BES scompaia progressivamente e che la Scuola italiana sia in grado di far fronte alle esigenze individuali di ciascuno, arrivando a parlare di BEI (bisogni educativi dell’individuo) e realizzando l’inclusione per tutti (anche per le eccellenze o per i plusdotati).
Un caro saluto.
Cristian Pagliariccio 🙂