Siamo talmente abituati a vedere situazioni di conflitto distruttivo (dove gli scopi sono ristabilire la propria posizione di dominanza ed affossare l’altro con mezzi più o meno legittimi) che, purtroppo, alla fine si finisce per non farci più caso ed entrare sempre più in dinamiche di conflitto distruttivo.
In questi casi, quando capita che in mezzo si trovino persone più deboli, maggiormente dipendenti e più disorientate, non é raro vedere come siano queste ultime a pagare lo scotto per gli altri, che nel frattempo continuano ad attaccarsi, senza vedere più in là delle proprie azioni e senza valutare le conseguenze dei propri comportamenti. Avviene nelle famiglie, dove in mezzo si trovano i figli, ma avviene anche nel mondo esteso delle istituzioni, delle agenzie, delle organizzazioni e delle associazioni che ruotano attorno alle scuole, dove in mezzo si trovano gli utenti (alunni, studenti e loro genitori).
È questa forse la situazione che si sta creando attorno ai BES, dove da più parti si stanno aprendo critiche sugli ultimi sviluppi concettuali entrati nella scuola italiana. Tali critiche, spesso connesse al rischio di lesione dei diritti degli utenti appaiono però fondate su prese di posizione, tirando dentro il benessere presunto degli studenti ma, di fatto, tentando di ristabilire principi fondati sulla dominanza di teorie (si vedano ad esempio i seguenti articoli: BES: i bisogni umani di crescita ed apprendimento non sono speciali e Quale inclusione? Riflessioni critiche sui bisogni educativi speciali).
Ma quando si parla di alunni o studenti e delle loro famiglie, a cui la scuola offre un servizio, si può parlare di centralità di una teoria di una disciplina o di una visione univoca?
Oggi come oggi, la risposta non può essere altro che no.
Una disciplina, quale ad esempio la pedagogia, la psicologia, la neurologia, la didattica, ecc, per definizione è un artefatto e, per costituzione, ha la capacità di descrivere solo una parte della realtà ma non può pretendere di avere nè la conoscenza assoluta ne la supremazia. Prova concreta di quanto si afferma qui, sta nel fatto che nonostante tutti i nostri progressi scientifico-culturali, qualcosa ancora ci sfugge come esseri umani ed i risultati che otteniamo sono ancora troppo scadenti.
Con le nostre conoscenze, infatti, riusciamo a garantire un livello di benessere, istruzione, occupazione, soddisfazione, legalità accettabili per tutti?
Ovviamente no, poiché come esseri umani dobbiamo migliorare ed imparare ancora molto.
Quindi non si tratta di mettere al centro della progettazione e delle azioni discipline o conoscenze o teorie più o meno superiori, a meno che non esistano prove inconfutabili che ci autorizzino a fare ciò, ma di mettere al centro le persone, con sguardo umano, considerando le loro esigenze.
Nel fare questo, ovviamente, le esigenze principali non sono di noi operatori ma delle persone a cui, in primis, offriamo un servizio (e per questo riceviamo spesso un compenso).
Il mio augurio è che il modo di entrare in relazione tra gli operatori migliori, che tutti gli operatori sappiano mostrare un elevato grado di maturità e che, prima di partire in quinta come siamo abituati a fare, ci si renda conto che le soluzioni migliori vengono dalla volontà di collaborare insieme, ognuno con le proprie competenze, per il benessere di tutti.
Viviamo infatti in un periodo in cui le cose sono notevolmente cambiate rispetto anche a soli 5 anni fa e parlare di studenti e di scuola non significa più dire le stesse cose che si dicevano negli anni scorsi. Si tratta in parte di un problema costante, poiché da sempre la scuola ha dovuto rinnovarsi per rispondere ai cambiamenti della società, ma in questo periodo storico ci si chiede di aiutare la scuola a rinnovarsi per rispondere non più a singoli problemi ma ad una rete di problemi che evolvono con una velocità elevata (l’emivita delle conoscenze si è ridotta di molto). L’uso scorretto di internet ed il tentativo delle economie di accaparrarsi sempre più consumatori, l’accenturasi di problematiche sociali date dalla crisi che stiamo attraversando, i rischi di aggressione o uso di sostanze sempre più varie e pericolose, i rischi per la sopravvivivenza (poichè anche in italia esistono situazioni di povertà estrema) e altre questioni, ci chiedono di dare ai nostri bambini ed ai nostri ragazzi sempre più competenze per poter affrontare la complessità del mondo. Si tratta di competenze che riguardano sia nozioni (o istruzioni) che abilità di vita e di autoformazione. Per fare questo, probabilmente, c’è bisogno di uno sforzo congiunto ed ordinato da parte di tutti coloro che hanno a cuore il benessere della Scuola e le persone che la scuola serve, prima ancora che il proprio benessere.
Mi auguro quindi che, più di sterili argomentazioni, nascano sempre più buone pratiche collaborative che, all’interno delle scuole, includano equipe miste di professionisti esperti (insegnanti, personale ata, pedagogisti, psicologi, medici, tossicologi, esperti di comunicazione e quant’altro), in modo che dalle infinite possibilità teoriche si possa arrivare alle specifiche progettazioni fondate sulle esigenze di ogni scuola, ogni classe, ogni singolo alunno e studente, per rispondere alle necessità di tutti e favorire quanto più possibile una loro crescita ed un’autonomia adeguate.
Cristian Pagliariccio