100 classi di scuola secondaria di secondo grado inizieranno un percorso sperimentale nell’anno scolastico 2018/2019. Ciò consentirà loro di concludere gli studi in 4 anni, anziché 5.
La notizia ha riaperto il dibattito sulla durata delle scuole secondarie di secondo grado nel nostro Paese.
In questo post affronteremo insieme tre questioni: il concetto di scuola a taglia unica; i punti critici di tale visione; una proposta operativa, pensata per superare lo scontro ideologico che va avanti da anni e si è riacceso di recente.
Il concetto di scuola a taglia unica
Chi si inserisce nel dibattito sulla durata del percorso scolastico, come al solito, dimostra di ragionare in modo molto dicotomico: da un lato ci sono i sostenitori del Si, concordi con la proposta del MIUR e della Ministra di considerare una durata di 4 anni; dall’altro i sostenitori del NO compatti sul voler mantenere una durata di 5 anni per non penalizzare gli studenti, generalmente identificati come una massa uniforme. Gli studenti, diretti interessati, fanno sapere attraverso i rappresentanti della maggioranza che vorrebbero un percorso di quattro anni ma, sentendo la parola sperimentazione, temono di esser trattati come cavie.
Tutti, comunque, sembrano ignorare la possibilità di poter fruire contemporaneamente di entrambe le opzioni di 4 e 5 anni, a seconda dei bisogni, mostrando di avere in mente una scuola a taglia unica.
Il concetto di scuola a taglia unica sembra essere particolarmente calzante per la scuola italiana: può essere usato per definire l’idea di una scuola che preveda tempi di apprendimento standardizzati, ignorando le differenze individuali e chiedendo a tutti di apprendere con lo stesso ritmo.
Tale concetto emerge più nelle parole di chi dibatte che nella normativa scolastica attuale. Quando si pensa alla scuola secondaria di secondo grado, infatti, generalmente si pensa ad una varietà di modelli (Licei, Istituti Tecnici e Istituti Professionali), arricchiti dalle decisioni prese in autonomia dalle singole scuole. La taglia dei 5 anni di durata è considerata grossomodo standard e uguale per tutti e da molti (tranne che da coloro che hanno in mente la normativa scolastica).
Se si ritiene che la scuola secondaria di secondo grado debba durare per tutti 4 anni, il risultato non cambia: anche in questo caso si prevede un percorso di durata standard per tutti.
Chi sposa l’idea di un percorso di 4 anni, probabilmente, dimentica una cosa importante: i 5 anni costituiscono tempi di apprendimento medi, pensati per la massa degli studenti. I 5 anni previsti concorrono a creare difficoltà più o meno gravi circa un terzo degli studenti (che potrebbero necessitare di percorsi più lunghi o di supporto pomeridiano).
Come evidenziato dalle rilevazioni MIUR del 2017, infatti, il 7,3% degli studenti non è stato ammesso all’anno successivo, con un picco di non ammessi nel primo anno (11,5%). Altri, nel corso degli anni, vanno avanti a fatica, passando attraverso la sospensione del giudizio (il 22,7%). Insieme, gli studenti appartenenti a questi due gruppi costituiscono approssimativamente quasi un terzo della popolazione totale della scuola secondaria di secondo grado (il 30% del totale). Le percentuali, di conseguenza, tenderebbero ad aumentare sensibilmente se gli studenti venissero costretti a fare lo stesso lavoro che fanno ora, avendo però un anno in meno a disposizione. Con un percorso di 4 anni si rischierebbe di riportare il nostro Paese ad un periodo in cui la dispersione formativa era superiore al 20%.
Il 70% è ammesso alla classe successiva, riuscendo più o meno bene.
Di questi, una parte avrà risultati accettabili (da 6 a 8).
Una parte, invece, avrà risultati eccellenti (superiori a 8).
Anche chi vorrebbe una durata del percorso di 5 anni, probabilmente, dimentica che i 5 anni del percorso scolastico costituiscono un tempo di apprendimento medio. In questo caso, chi ideologicamente vorrebbe mantenere i 5 anni per tutti sceglie di penalizzare le eccellenze. Un percorso rigido rischia di costringere a rallentare coloro che hanno un ritmo più veloce o un interesse personale (insindacabile), per una pura presa di principio. Anche considerando gli studenti meritevoli, le percentuali potrebbero essere significative. Non sono stati trovati dati utili per determinare quanti hanno raggiunto votazioni eccellenti nel corso degli anni ma, guardando i risultati della maturità 2016/2017, possiamo fare insieme una stima approssimativa, sempre considerando le rilevazioni MIUR del 2017. Le eccellenze potrebbero essere circa il 33%, poiché si evidenzia che: il 5,3% dei maturandi ha ottenuto 100; l’8,5% ha ottenuto un voto tra 91 e 99; il 18,9% ha ottenuto un voto tra 81 e 90 (per un totale del 32,7% che ha ottenuto un voto superiore ad 8). Gli studenti e le studentesse che rientrano nel gruppo dei meritevoli in base al rendimento, dunque, probabilmente potrebbero concludere il percorso di studi in 4 anni. Considerando che i fattori come il sottoutilizzo delle capacità possono contribuire allo stress, come segnalato già dal 2004 nel rapporto ISPESL (a pagina 32), facendo un’analogia tra lo studente ed il lavoratore, considerando entrambi come esseri umani impegnati in una attività non ricreativa, potremmo ritenere che con un percorso di 5 anni si rischia di compiere una violenza silenziosa a danno degli studenti meritevoli, senza alcun valido motivo.
La normativa invece, come vedremo a breve, è dotata di un buon grado di flessibilità e, potenzialmente, è capace di mettere tutti d’accordo, per supportare il benessere degli studenti e dei docenti.
I punti critici di una scuola a taglia unica
Se non si tiene conto delle differenze, la scuola a taglia unica italiana rischia di andar bene solo ad alcuni. Altri possono provare ad adattarsi, spesso sopportandola. Molti la patiscono se non sanno o non possono gestirla: se la taglia è troppo stretta rischiano di soffrire o soffocare; se la taglia è troppo larga rischiano di sentirsi impacciati; se la taglia è troppo lunga rischiano di inciampare; se la taglia è troppo corta, rischiano di sentirsi ridicoli o senza protezioni adeguate; ecc.
Sarebbe più etico consentire agli studenti in possesso di specifici requisiti di poter scegliere anche la durata del proprio percorso di studi, nei limiti del possibile, soprattutto se mostrano una maturità utile per compiere tale scelta. In un’ottica di orientamento, gli studenti dovrebbero poter scegliere non solo i modelli ma anche le “taglie” dei percorsi intrapresi. Se la scuola deve educare alla libertà, la libertà di scelta deve riguardare anche la velocità con la quale si affronta il percorso, se si ha i requisiti adeguati per farlo.
Inoltre, in una scuola in cui la parola inclusione sembra essere diventata un mantra, la standardizzazione dei tempi necessari per il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento è fuori luogo, sia che si parli di una durata di 4 anni che di 5, perché ognuno ha il suo ritmo. La standardizzazione non è mai una soluzione ottimale. In un ottica di rispetto delle differenze individuali, delle caratteristiche degli studenti, dei diversi tempi di apprendimento e della libertà di scelta qualora si fosse in possesso dei requisiti necessari, non serve rallentare chi tende ad apprendere bene e velocemente, facendolo restare a scuola per 5 anni. Tutti i discorsi che facciamo sul merito tendono a diventare sterili se non valorizziamo il merito concretamente. Parallelamente, non serve costringere ad apprendere in quattro anni chi potrebbe avere difficoltà e necessita di tempi di apprendimento più lunghi o, semplicemente, preferisce affrontare il percorso di studio in 5 anni come è sempre stato. Se la taglia del percorso dovesse diventare di 4 anni per tutti nel mondo reale (non in classi sperimentali che fanno selezione degli iscritti), come già detto, il rischio potrebbe essere un crollo del successo formativo ed un’impennata della dispersione che, potenzialmente, potrebbe coinvolgere il 30% degli studenti (se pensiamo a coloro che non vengono ammessi all’anno successivo e a coloro che vengono ammessi passando attraverso la sospensione del giudizio). Ciò allontanerebbe il nostro Paese dagli obiettivi previsti in Europa, fissati al 10% di dispersione formativa.
Come ultimo punto critico, si corre il rischio di facilitare la nascita di classi dedicate ai percorsi brevi e classi dedicate ai percorsi lunghi, per mediare tra conflitti e mettere tutti d’accordo. Se ciò si realizzasse, alla lunga porterebbe ad avere classi differenziali su base ideologica, con un insensato ritorno al passato.
La scuola a taglia unica, in un solo colpo, rischia di essere noncurante dell’etica, incapace di sostenere le libertà di scelta degli studenti e escludente. Come detto, cambia poco se si pensa ad una durata di 4 o di 5 anni.
Quali suggerimenti operativi possono nascere dal discorso sviluppato fno ad ora?
Quanto detto mette in luce il fatto che sin da subito sia possibile e utile, per tutti coloro che hanno i requisiti di merito, concludere le scuole secondarie di secondo grado con quattro anni, anziché con 5, consentendo agli altri di fare un percorso di 5 anni. Non servono classi differenziali, perché i meritevoli potrebbero semplicemente fare l’esame di stato al termine del quarto anno, lasciando che gli altri proseguano con il quinto anno.
Follia!? Non proprio.
Come si diceva, la normativa è flessibile: già da ora prevede che la scuola secondaria di secondo grado possa durare 4 anni, se gli studenti sono meritevoli e lo desiderano.
A riguardo, esistono rimandi normativi per le eccellenze, da anni, anche se poco valorizzati. Il DPR del 22 Giugno 2009, all’Articolo 6 comma 2 indica quanto segue:
Tale impostazione è stata mantenuta nel DECRETO LEGISLATIVO 13 aprile 2017 , n. 62. Al Capo III, Articolo 13 comma 4, si ritrova in forma quasi identica al precedente testo quanto segue:
Sono ammessi, a domanda, direttamente all’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo, le studentesse e gli studenti che hanno riportato, nello scrutinio finale della penultima classe, non meno di otto decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline e non meno di otto decimi nel comportamento, che hanno seguito un regolare corso di studi di istruzione secondaria di secondo grado e che hanno riportato una votazione non inferiore a sette decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline e non inferiore a otto decimi nel comportamento negli scrutini finali dei due anni antecedenti il penultimo, senza essere incorsi in non ammissioni alla classe successiva nei due anni predetti. Le votazioni suddette non si riferiscono all’insegnamento della religione cattolica e alle attività alternative.
Considerando la normativa vigente e futura, dunque, si riconosce il fatto che l’Inclusione possa riguardare anche gli studenti che, per caratteristiche personali e impegno tendono ad avere tempi di apprendimento più rapidi rispetto alla media degli studenti, o comunque sono in condizione di avere un ritmo più rapido, evitando di far sprecare loro tempo che, in definitiva, corrisponde a far sprecare vita da dedicare a ciò o chi si ama.
L’impressione, tuttavia, è che le cose non stiano funzionando come dovrebbero, perché la possibilità di concludere un percorso di studi in 4 anni, anziché 5, si ottiene su richiesta e non è chiaro se tutti coloro che hanno diritto sono in condizione di fare questa richiesta. Per essere in grado di cogliere questa opportunità e farne richiesta, bisogna essere informati in tempo utile, in modo da potersi regolare in piena libertà.
Spesso, invece, gli studenti e le famiglie non sono al corrente di tale normativa e non possono realizzare una scelta consapevole.
Molte scuole, a riguardo, non sembrano informare adeguatamente gli studenti e le famiglie, con la stessa solerzia con la quale informano gli studenti in difficoltà del rischio di bocciatura. In alcuni casi, si tende informare sul rischio di bocciatura in maniera eccessiva e con abuso di potere, come evidenziato dalla Suprema Corte di Cassazione, sezione V, con la sentenza n. 47543 del 1 dicembre 2015. Al contrario, sembra che molte scuole non convochino né informino con la stessa meticolosità, dal primo anno, gli studenti meritevoli che potrebbero concludere le scuole secondarie di secondo grado un anno prima.
In base a quanto detto finora, la proposta che sembra essere più sensata è la seguente: tutte le scuole secondarie di secondo grado dovrebbero fare una adeguata sensibilizzazione sulla possibilità di concludere il percorso un anno prima, partendo dal primo anno, sin da subito. In alternativa o a supporto, tutti i genitori e tutti gli studenti potrebbero iniziare a diffondere la conoscenza di tale diritto.
Se tutte le scuole e/o tutte le famiglie facessero adeguata informazione sulla possibilità di concludere il percorso di studi in 4 anni già da ora, quali sarebbero i benefici?
I benefici di un’adeguata informazione sarebbero enormi. Quattro, in particolare, sembrano essere importanti.
- Come già detto, la possibilità per i meritevoli di concludere il percorso di studi con 4 anni, senza svilirli, rallentarli e/o far perdere loro tempo prezioso.
- La riduzione potenziale della popolazione studentesca del quinto anno di circa il 33%. Con tale fenomeno, seguirebbe la possibilità di supportare gli studenti che si trovano in difficoltà nell’ultimo anno, per aiutarli a consolidare la preparazione, in modo che la loro formazione sia più efficace. Al quinto anno, gli insegnanti potrebbero ritrovarsi con 1/3 in meno di studenti (circa), con una conseguente riduzione dell’affaticamento professionale ed un aumento del tempo da dedicare agli studenti.
- L’uso degli esami di maturità in maniera sensata, per verificare se gli studenti meritevoli hanno realmente acquisito le competenze necessarie per concludere la scuola al quarto anno. Attualmente, l’esame di maturità è una sorta di proforma dato che, come rilevato dal MIUR, “il 99,5% delle esaminate e degli esaminati ha ottenuto la promozione”. Coloro che tenteranno l’esame di maturità al quarto anno e non lo superanno, possono continuare il percorso di studi normalmente, proseguendo con il quinto anno.
- Se si iniziasse a fare corretta informazione alle famiglie già dall’anno scolastico 2017-2018, ci sarebbe la possibilità di compiere un’azione alternativa alla sperimentazione ministeriale. Tale azione, pienamente legale, potrebbe arricchire il dibattito con dati osservabili, inizierebbe con un anno di anticipo rispetto alla sperimentazione ministeriale e potrebbe consentire di cogliere i primi risultati per tempo, favorendo anche il risparmio della spesa pubblica destinata ad esperti che si occupano di monitorare le varie sperimentazioni.
A chi avrà avuto la pazienza di leggere, dunque, rivolgo una domanda e faccio un’ulteriore proposta.
La domanda è semplice: cosa ne pensate?
La proposta è altrettanto semplice: se condividete queste idee, condividete questo post o, semplicemente, fate informazione. Serve per non disperdere le energie in dibattiti sterili e concentrarsi su ciò che più conta: la qualità del servizio offerto agli studenti e il miglioramento della qualità della vita nella nostra società.
Un caro saluto! 🙂