Ultimamamente di BES si parla molto. La maggior parte delle parole spese tende stimolare una crescita culturale volta a sottolineare l’importanza di favorire l’inclusione ed il pieno rispetto dei BES nelle scuole, in modo da favorire un clima adeguato di crescita e di apprendimento per tutti. Ampio spazio è dato anche alla presentazione delle pratiche realizzate, che pure hanno una loro utilità. Minor attenzione, invece, sembra essere dedicata ai principi della progettazione, vale a dire a quegli elementi che possono orientare una progettazione e consentono di avere un controllo sul processo di insegnamento. Nella maggior parte dei casi, infatti, non è sufficiente prendere una scheda precompilata ed assegnarla agli alunni o agli studenti. Il lavoro e lo sforzo vanno diretti proprio alla creazione di ciò che serve (magari includendo anche del materiale già esistente). Per questo motivo, in questo quarto articolo dedicato all’inclusione ed ai BES si tenterà di rispondere alla seguente domanda: come si fa progettazione per i BES?
La risposta, ovviamente, non può essere esaustiva. La speranza, tuttavia, è che possa essere utile per comprendere gli aspetti di base della progettazione.
Per evitare di fare un trattato, si tenterà di presentare argomentazioni passo-passo, formulando domande utili per entrare nell’ottica della progettazione inclusiva e per progettare.
Quali presupposti iniziali sono utili per progettare?
Punto di partenza per fare una progettazione inclusiva è la considerazione di quelli che potrebbero essere definiti come punti di “rigidità”, vale a dire caratteristiche personali che potrebbero essere sostanzialmente immodificabili o modificabili a fatica. Per comprendere questo, ad esempio, si pensi ai punti di “rigidità” costituiti da una situazione di cecità, una disabilità intellettiva, la frattura di una gamba, i disturbi della scrittura, una sofferenza profonda per un lutto, parlare una lingua diversa dall’italiano e trovarsi di colpo in un contesto estraneo o altre situazioni che in maniera tendenzialmente oggettiva potrebbero comportare delle difficoltà per le persone, se non considerate.
A riguardo, si pensi anche quanto potrebbe essere insensato pretendere che le persone che vivono le suddette situazioni aguzzino la vista, si mostrino più intelligenti, si facciano una bella corsetta, scrivano meglio, si facciano una bella risata, parlino chiaramente in italiano o altro, solo perché glie lo chiediamo e senza che si faccia uno sforzo per tentare di trovare soluzioni il più possibile accettabili, spesso di compromesso, per aiutarle (considerando che parliamo soprattutto di bambini e ragazzi in questo caso, ma il discorso può allargarsi anche agli adulti o agli anziani).
Se cambiamenti sono possibili, quindi, in queste situazioni tali cambiamenti non saranno immediati ma avverranno molto lentamente. Di conseguenza, pretendere di avere tutto e subito è un atteggiamento che sicuramente diviene frustrante sia per gli alunni e gli studenti che per gli insegnanti (che come tutti gli esseri umani possono scoraggiarsi o “mollare la presa” quando non vedono risultati).
Altra questione è la responsabilità. Come può un insegnante da solo o da sola avere la responsabilità formativa di un’intera classe?
In ottica inclusiva, se presi singolarmente, gli insegnanti non possono avere la responsabilità formativa di un’intera classe. Non è più la singola materia ad avere un valore ma lo sviluppo globale ed interdisciplinare della persona, supportato dall’apporto di tutti.
Di fatto, per ottenere realmente buoni risultati, si deve imparare a condividere di più con i colleghi, sfruttando anche la perizia degli insegnanti di sostegno che possono fungere da coordinatori in maniera molto più pertinente rispetto ad altri colleghi (per il fatto che hanno una visione del funzionamento della classe in base ai diversi insegnanti ed alle diverse materie).
Per questo, servono principalmente modalità di lavoro in rete ed in team e modalità orientate alla soluzione di problemi complessi, dove è richiesto di ideare molte soluzioni condivise (spesso creative) per il perseguimento degli obiettivi che ci si pone (anche confrontandosi con i colleghi). Molti tendono a sottolineare che il tempo per comunicare è sempre poco perché dalla scuola secondaria di secondo grado in su non si dispone di adeguate ore per la programmazione in team. Questo in parte è vero se si considera il tempo fisico in cui ci si rapporta faccia a faccia. Tuttavia, nulla vieta di imparare a comunicare attraverso modalità complete ma sintetiche; di imparare a scegliere cosa dire, evitando polemiche sterili per valorizzare al massimo il tempo di cui si dispone; di far ricorso ai moderni mezzi della tecnologia, ad esempio creando un socialnetwork interno alla scuola; ecc.
Quali scopi si perseguono?
La progettazione per i BES non si limita ad agire con ottica puramente assistenziale (a meno che le possibilità di autonomia delle persone non siano talmente tanto compromesse da richiedere ciò).
La finalità della progettazione inclusiva può essere quella di trovare il modo di attivare quanto più possibile l’autonomia delle persone. Ad esempio, la cecità di una persona forse non si potrà risolvere, e questo può essere un fatto. Tuttavia, non siamo costretti a fare in modo che la persona possa muoversi solo in presenza di un assistente e dipendere totalmente da esso. Infatti, nulla ci vieta di insegnare competenze, attivando anche risorse esterne alla scuola in accordo con la famiglia (per insegnare l’orientamento, l’uso del bastone, l’uso del braille, ecc.). Inoltre, nulla ci vieta di strutturare l’ambiente scolastico in modo che possa essere funzionale anche per questa situazione, senza penalizzarne altre (ad esempio, mettere indicazioni braille nelle aule, fare i tracciati per i percorsi, curare gli ambienti in modo che non ci siano ostacoli pericolosi, creare “corsie” nei corridoi per chi va più veloce o è più iperattivo e corsie per chi va più lentamente, ecc.).
Alcuni scopi che si perseguono, quindi, sono:
- fare progettazione didattica educativa per assegnare ad ognuno un suo posto ed un ruolo che lo valorizzi, tentando di limitare o annullare il più possibile il peso delle difficoltà (in questo senso, si può fare ricorso anche a strumenti compensativi o a misure dispensative coerenti con le stesure dei Piani Didattici Personalizzati o dei Piani Educativi Individuali);
- fare in modo che tutti, come si richiede ad una comunità di esseri umani, si prendano cura delle persone per le quali sono responsabili. In questo senso, l’organizzazione di strutture cooperartive saranno sicuramente più utili di strutture competitive, individualistiche o insegnante-centriche (dove è l’insegnante che deve fare tutto).
- delegare agli alunni e studenti in maniera pertinente, per quelle che sono le loro possibilità. Questo può essere un modo utile per fare in modo che studenti ed alunni apprendano facendo (non solo in teoria) e, al contempo, che si possa avere maggiore libertà per dirigere la classe nei momenti di lavoro autonomo. Le cosiddette “lezioni invertite”, dove sono gli alunnie gli studenti a tenere lezioni, con il supporto degli insegnanti, sono un esempio concreto di delega responsabile.
Quali domande dovrebbero trovare una risposta quando si fa progettazione?
Le domande che ci si può porre quando si progetta possono essere le seguenti:
- Quali limiti devo considerare? (Qual é la situazione attuale?). Vanno considerati quindi i punti di rigidità degli alunni, i propri punti di rigidità (come ad esempio uno stato di affaticamento o le proprie competenze mancanti), eventuali problematiche ambientali (illuminazione, attrezzature, ecc) o fatti che hanno colpito la comunità in cui si è inseriti.
- Quali risorse possiede la mia classe (in termini di strutture, materiali, studenti, proprie competenze e possibilità, tempo, ecc.) o quali risorse posso attivare (coinvolgendo genitori; cooperando con altre classi; facendo uso di suggerimenti di colleghi; ecc.)?
- Considerando i limiti e le risorse, quali obiettivi di crescita e sviluppo posso perseguire? (I mezzi giustificano i fini e non il contrario). Gli obiettivi, infatti, dovrebbero essere tarati in modo da stimolare una crescita di tutti gli individui, senza che questi siano troppo banali o troppo lontani dalle proprie possibilità.
- Quali attività mi consentono di sfruttare le risorse per perseguire gli obiettivi ed aggirare gli ostacoli? In questo senso, ad esempio, se si trova il modo per insegnare agli studenti ad autocorreggersi collaborando in coppie o in squadre si è fatto un buon lavoro.
Quali conclusioni si possono trarre?
Quando si parla di inclusione e BES, quindi, progettare diviene un po’ sinonimo di organizzare l’ambiente e le risorse per ottenere gli obiettivi di crescita utili per tutti gli studenti.
Non si tratta dunque di etichettare o penalizzare le persone che vivono situazioni di difficoltà o di rischio, i figli dei migranti, i figli di chi si trova in situazioni socioculturali svantaggiate o di chi vive dei momenti di difficoltà più o meno marcati (come ad esempio possono essere i lutti o altre situazioni di sofferenza date anche da situazioni di crisi e perdita di lavoro).
Si tratta di:
- vedere e riconoscere le persone con le loro specifiche situazioni (senza ignorarle);
- ricordarsi che esistono situazioni di rischio, anche transitorie, che se non consideranne possono penalizzare fortemente le vite degli individui;
- agire di conseguenza in modo pertinente, per offrire il miglior aiuto possibile, anche collaborando con gli altri ed attivando le risorse della classe. L’inclusione ed il rispetto dei BES si realizza in maniera direttamente proporzionale al livello di cooperazione che gli insegnanti raggiungono con gli altri, per trovare soluzioni efficaci ed efficenti.
Il lavoro da fare può apparire molto e può scoraggiare ma, in molti casi, non è la quantità di lavoro che dovrebbe variare ma le modalità in cui esso viene realizzato. Di fatto, nell’era dell’autonomia scolastica, l’insegnante ha smesso di confrontarsi con i programmi per destreggiarsi con obiettivi, all’interno dei quali ha un’ampia possibilità di movimento.
Uno de gli argomenti che mi sta più a cuore come insegnante, trovo il vostro articolo molto interessante e ricco di spunti, questo tipo di chiarezza, a mio modesto parere, contribuisce non poco a rendere limpida l’intricata matassa legata a questo tipo di disturbi ed io stesso ho scritto un piccolo contributo su questo che spero possa aiutare a fare chiarezza e ad aiutare colleghi a capire. Buona serata. http://didatticapersuasiva.com/didattica/cosa-sono-i-bisogni-educativi-speciali/
Ben venga la chiarezza! Grazie 🙂