Prosegue la breve trattazione sulla questione dell’inclusione e dei bes a scuola.
Dopo il primo scritto, in questo articolo si tenterà di rispondere alla seguente domanda: a cosa serve parlare di BES e creare nuove etichette?
Parlare di BES (bisogni educativi speciali) serve perché fatichiamo a relazionarci con alcune persone che percepiamo come diverse. Di fatto, come esseri umani siamo più propensi ad accettare alcune diversità ma non tutte.
Quali diversità sono accettate?
Solitamente accettiamo i “diversi eccellenti”, i “diversi famosi” o i “diversi che ci sono familiari”.
Fatichiamo, invece, a relazionarci e ad accettare in maniera adeguata coloro che percepiamo come “diversi dalla media” o, semplicemente, diversi da noi stessi.
Si vedano ad esempio:
- gli episodi di discriminazione che avvengono su base politica;
- i pregiudizi su alcuni tipi di problematiche, come quelle psichiatriche;
- i vari fenomeni di indifferenza verso chi è in difficoltà;
- i femminicidi;
- le aggressioni in genere;
- lo sfruttamento di chi è più debole;
- ecc.
Le nostre politiche mondiali e nazionali sull’infanzia, sull’immigrazione, sull’abbattimento delle violenze, sul rispetto degli anziani e di coloro che si trovano in condizioni di malattia o in situazioni di disabilità spesso sembrano essere poco efficaci.
Come può aiutarci il concetto di BES?
Il concetto ci ricorda che quando qualcosa non funziona corriamo il rischio è di essere freddi e burocratici. Il rischio è avere comportamenti accettabili solo quando sono imposti da una specifica regola o legge. Tra le tante cose, ciò fa percepire l’altro come un peso.
Il concetto di BES, quindi, ci aiuta a ricordare che all’interno del nostro pianeta la vita “è una ruota”: può capitare a tutti di aver bisogno di un aiuto che consenta quanto più possibile di star bene (spesso tale aiuto arriva dalle persone più impensabili). Quando ci si sentirà vulnerabili, presto o tardi, a nessuno farà piacere trovarsi in un contesto freddo e indifferente.
Il concetto, dunque, è utile per stimolare una crescita a livello culturale e ricordarci che dobbiamo agire per trasformare la nostra società, per fare in modo di star bene tutti, indipendentemente dalle caratteristiche personali.
Quando parliamo di BES ci ricordiamo che l’inclusione serve a tutti per star bene:
- serve al bambino che deve crescere;
- serve all’anziano o alla persona in situazione di disabilità che possono andare incontro a limitazioni;
- serve a chi è appena arrivato nel nostro paese e si trova spaesato;
- serve alle mamme in dolce attesa;
- serve a coloro che restano un po’ più indietro;
- serve a chi sta male, anche se in modo temporaneo;
- serve a chi ha perso il lavoro e rischia di restare tagliato fuori a livello sociale;
- serve pure a chi ha grandi capacità e potrebbe sfruttarle al meglio (perché altrimenti sta male e sente di sprecare il suo tempo).
Parlare e lavorare sui BES serve soprattutto a scuola, perché è nel contesto scolastico che può realizzarsi quella crescita umana che é necesseria per sostenere la crescita di una società.
Come può essere utile il concetto di BES a scuola?
A Scuola, come adulti, abbiamo bisogno di ricordarci che tutti i bambini ed i ragazzi hanno anche diritti di autonomia e partecipazione (proprio come noi adulti).
Parlare di BES a scuola, quindi, ha poco senso se lo facciamo in maniera raggruppata, per tipologia di difficoltà (si veda ad esempio questa proposta, in cui si suggerisce che i piani didattici personalizzati potranno essere predisposti per tipologie differenziate).
L’etichetta, invece, ha senso se ci si propone di essere attenti ai bisogni educativi di tutte le persone, riconoscendo che alcune persone hanno bisogni educativi che richiedono una maggiore attenzione progettuale perché, se lasciate sole (soprattutto nelle fasi di sviluppo), corrono il rischio di avere gravi difficoltà.
Lo scopo ultimo, quindi, è arrivare a progettare attività e contesti che garantiscano a tutti il più elevato livello di autonomia e partecipazione, riducendo continui interventi specifici sulla persona o su gruppi di persone considerate diverse.
Possiamo mettere da parte il concetto di BES?
In un mondo ideale, probabilmente, questa etichetta non sarebbe necessaria.
Nel mondo attuale, tuttavia, a quanto pare le dimenticanze sono molte ed i soprusi verso chi è più in difficoltà non mancano (come pure non mancano i tentativi di tornare indietro e racchiudere gli studenti all’interno di gruppi di categorie, trattandoli in base alle tipologie differenziate e non alla loro unicità).
Per ora, quindi, il ricorso all’etichetta BES sembra proprio essere un’utile necessità.
Quando tutti impareremo che ciascuno deve essere rispettato per la sua uncità e che in questo mondo abbiamo le capacità per supportarci vicendevolmente modificando gli ambienti e la società, l’etichetta non servirà più e si parlerà di BE (bisogni educativi) o di BEI (bisogni educativi individuali) o, semplicemente, si agirà e basta (senza doverne più parlare).
Cristian Pagliariccio